venerdì 15 maggio 2009

Mostre storiche: "I giardini delle regine"ovvero la mostra che mise su carta il mito preraffaellita di Firenze

Poche sono le mostre utili e ancora meno quelle sull'Ottocento, in cui raramente la mostra diviene un luogo ed un momento di studio, ma tra queste possiamo sicuramente annoverare "I giardini delle regine", allestita a Firenze nella primavera-estate del 2004 da Mariella Becherini, con il contributo di Margherita Ciacci e Grazia Gobbi Sica. 
Una mostra forse un po' femminile, a tratti femminista quando parla dell'Italia come luogo della liberazione dai retaggi sociali vittoriani, ma con il merito di porre in luce un gruppo di figure che tanto hanno largamente contribuito alla creazione dell'Italia ottocentesca. 
Giunte in Toscana alla ricerca della "camera con vista" le regine della mostra si appassionano alla costruzione del mito di Firenze (che in quegli anni si modernizza) che diviene un'ideale repubblica delle arti, mito che trova il suo vigore e il suo fondamento nella recente riunificazione nazionale e nel bisogno di fornire una cultura comune alla nascente nazione. Sembrano trovare nell'Italia appena unificata un luogo da plasmare culturalmente, e con i loro compagni italiani si lanceranno alla costruzione di un ricco campionario laico e toscanocentrico (proprio come Pinocchio)  in cui Dante convive con Savonarola in un'Italia in cui la religione al servizio della borghesia deve forgiare il paese moderno.   

sabato 9 maggio 2009

Arditezza, tecnica ed industria nel paesaggio agricolo


Fino al 2 giugno è in corso alla Pinacoteca di Brera la piccola e molto filologica mostra "La sala dei paesaggi", ricostruzione dell'aula dedicata al nuovo insegnamento della pittura di paesaggio, così come si presentava nel 1822. La mostra è per la verità una precisa e garbata ricerca filologica, che appuntabile correttezza aggiunge un tassello allo studio della pittura di paesaggio in Lombardia, benchè per le sue piccole dimensioni perda di slancio e di visione globale.


La mostra risulta essere però l'occasione di un incontro interessante, quello con Marco Gozzi (1759-1839) e con il suo Ponte di Creola sulla strada del Sempione, 1821. L'opera realizzata dall'artista ormai sessantenne racconta un cambiamento significativo nella lettura del paesaggio, lasciando trasparire sotto questa mostra a Brera un'altra possibile chiave oltre a quella esposta in catalogo. Nella raffigurazione del paesaggio influenzato dalle scelte di Eugenio de Beauharnais, vicerè di Milano in epoca napoleonica, emergono non solo i segni del gusto romantico per il sublime importato in Italia, ma anche le prime tracce dell'industria lombarda e del progresso ottocentesco che lasciano spazio a raffigurazioni di porti e magazzini. Se tale raffigurazione dell'ambiente artificiale trova in epoca napoleonica una giustificazione politica, diverso risulta il caso di Marco Gozzi.


Il lavoro di Gozzi realizzato a sei anni di distanza dalla caduta di Napoleone, pur ponendosi in linea con l'intento tecnicistico dell'Impero, racconta la storia di un trapasso: il ponte di Creola, sublime costruzione napoleonica giace ora ammuffito e con i vetri rotti, come ad indicare la conclusione di un'epoca, ma nel contempo l'artista ammira compiaciuto quest'ardita costruzione quasi industriale. Nel 1820 l'incalzare dell'industria in Lombardia iniziava a farsi strada e il lavoro di Gozzi segna in qualche modo l'inizio di una rappresentazione di un paesaggio ricercatamente artificiale ed urbanizzato, una linea che avrebbe portato qualche tempo dopo alla pianificazione agricolo-industriale della pianura vercellese. Un paesaggio in cui l'uomo si stupisce compiaciuto del proprio progresso, in cui modifica il naturale con invenzioni e tecniche ardite: "La Fonderia di cannoni a Caionvico", dove le palle di cannonne accumulate a terra segnano il contesto fino quasi a renderlo surreale, o il "Ponte di Cassano" in cui si pone l'accento sull'ammodernamento del ponte romano.