venerdì 25 dicembre 2009

Fairy tale all'italiana: Il re sole di Previati

Una delle opere che mi incuriosice maggiormente del Museo dell'Ottocento di Milano è il Re Sole di Gaetano Previati, 1893-1896. Niente a che vedere però con le rappresentazioni storiche tipiche ottocentesche e dopo Le Fumatirici di Hashish del 1887 e Maternità del 1890, non poteva che essere così. Qui il grande ferrarese riprende due temi della cultura galleristica ottocentesca: la rivisitazione ancièn régime e il quadro di storia appunto, ma crea qualcosa di assolutamente nuovo, raggiungendo a parer mio una delle vette più originali della cultura italiana di quegli anni. I raggi dorati del sole, gli abiti bianchi delle dame, gli azzurri carichi ed estivi, la sontuosità non affettata, quasi silvestre, creano un raro caso di fairy tale all'italiana, raccontando più che la vita del monarca quella del Re delle Fate, del Re del Sole più che del Re Sole.
Sono gli anni in cui in Inghilterra, ma anche in gran parte dell'Europa i racconti di fiabe ricevono illustrazioni ricchissime e Previati sembra voler portare in Italia un genere: così sul finere dell'800 le fate arrivarono anche in Italia.

lunedì 7 dicembre 2009

La via crepuscolare dell'alpe


Scopro che sul finire dell'Ottocento in Europa ci sono ormai due vie per vivere e parlare di alpinismo, l'estetica dandy ed elitaria dell'Alpine Club di Londra e lo spirito superonistico della Scuola di Monaco in cui la montagna diviene il luogo in cui formare l'eroe ed il guerriero, in lotta con le vette. Visitando però il Museo della Montagna di Torino e soffermandosi nell'attuale Sala Stemmi sembra apparire una terza via, che potremmo definir
e crepuscolare.
Sul pittore Ernesto Smeriglio che nel 1893 affresca l'aula maxima della palestra ginnico-ricreativa sul monte dei Cappuccini, l'attuale sala stemmi del CAI, non sono state trovate molte informazioni se non un suo quadretto dedicato al Colosseo, ma questo sconosciuto pittore ci lascia un segno esemplare di un'epoca. Ci parla di come, sul finire dell'Ottocento, in Italia venissero a scontrarsi due diversi modi di fare alpinismo e di intendere l'alpe
, uno gridato e riconosciuto, l'altro sotterraneo e silenzioso, nascosto rispetto all'estetica domaninante, anche se fortemente compenetrato.
Il primo modo può essere esemplificato dalla figura di Guido Rey, committente della sala, alpinista folgorato dagli ideali della scuola di Monaco di cui si ricordano le fotografie in quota e la frase scritta fino a qualche anno fa sulle tessere CAI: "Io credetti, e credo, la lotta coll'Alpe utile come il lavoro, nobile come un'arte, bella come una fede", simbolo di uno sport che doveva servire alla formazione del superuomo e dell'industriale.
Il secondo modo può essere invece ritrovato nella dichiarazione pittorica di Ernesto Smeriglio in Sala Stemmi, in cui la montagna viene letta come il regno delle stelle alpine, di castelli gotici e di coperte pesanti nei rifugi; è un'estetica decadente e crepuscolare che pesca nella principessa Sissi e nei racconti piemontesi di Costantino Nigra, insomma un modo di f
are alpinismo e di intendere le vette più simile a quello ad un Gozzano che ad un D'Annunzio. In cui l'arco alpino si manifesta come uno sfondo lontano , come rifugio per i vinti in una città troppo veloce, un luogo spirituale che brilla distante nelle luci invernali: "Da Palazzo Madama al Valentino/Ardono le Alpi tra le nubi accese..." (Guido Gozzano, Torino, da i Colloqui)

Immagini:
Ernesto Smeriglio, Sala Stemmi, Museo Montagna Torino, 1893
Grubicy de Dragon, Cimitero di Ganna, 1894