mercoledì 24 dicembre 2008

Brjullov in Italia: tracce ed influenze

Il post su Zeri, deve avermi impressionato molto da pormi oggi la domanda: Cosa rimane del passaggio di Brjullov in Italia?
Enorme è l'influenza che questo maestro del romanticismo ha avuto nel suo soggiorno nel Bel Paese: si parte dal successo de "L'ultimo giorno di Pompei", 1833 fino ad arrivare ai numerosi soggetti a tema italico presenti nel suo lavoro. Il soggiorno del grande innovatore russo, carico di successi, ha però lasciato nei musei e nelle collezioni italiane pochissime opere:
- Ritratto di A. N. Demidov, Principe di San Donato, 1831, Galleria Palatina, Palazzo Pitti, Firenze
- Ritratto della cantante Giuditta Pasta nei panni di Anna Bolena, 1834, Museo del Teatro "La Scala", Milano
- Per ordine di Allah, la biancheria si cambia solo una volta all'anno, 1852, Galleria d'Arte Moderna, Milano
- Ragazza nella foresta, collezione Tittoni
- Giulietta Tittoni nei panni di Giovanna d'Arco, collezione Tittoni
La ricerca sul colore ed il temperamento romantico del giovane russo deve avere influenzato fortemente il contesto milanese di quegli anni, se si pensa a come proprio in quegli anni Hayez trasformi ed aggiorni lo stile dei suoi ritratti, avvicinandoli nel gusto all'opera di Brjullov. Il ritratto di Cristina Belgioioso Trivulzio, 1832 sembra infatti presentare diverse affinità (pur mantenendo un contenimento lombardo) con lo stile vivido e nero del maestro russo. Ma chi ricevette maggior beneficio dal contatto con il maestro fu probabilmente il compositore Giovanni Pacini con cui Brjullov instaurò un potente e proficuo scambio di idee e visioni.
Immagini: (sopra) Giuditta Pasta, (sotto) dettaglio da "L'Ultimo giorno di Pompei"

martedì 23 dicembre 2008

Direzioni di ricerca: la via di Federico Zeri


Mi piace l'idea di dedicare alcuni post a quei maestri che hanno indicato o suggerito una via particolare ed originale, gettando sull'Ottocento una luce differente e suggestiva. Queste ottime guide penso possano dare degli spunti capaci realmente di arricchire questo blog.

Vengo a conoscenza della via indicata da Zeri da un articolo di Paolo Serafini, apparso sul rapporto annuale dedicato all'Ottocento de "Il giornale dell'arte" di maggio 2008.

La via tracciata è caratterizzata da una grande attenzione verso culture figurative trascurate, alle
"linee perdenti", g r avide di energie sopite. Questo come spiega Serafini "Porta Federico Zeri a ritenere interessanti per la esatta comprensione della nostra pittura ottocentesca, tradizioni oggi del tutto trascurate,
quali quella del Naturalismo ottocentesco norvegese della seconda metà del secolo, che «colpisce non meno dei quadri che altri artisti norvegesi eseguivano sul continente e anche in I t a l i a», ma soprattutto la
cultura anglosassone e russa". In queste tre culture si è sviluppato per Zeri nel tardo Ottocento "un giudizio più comprensivo ed equilibra t o" e attraverso il Naturalismo e il Realismo, un’espressione figurativa moderna. Per Zeri è stata la distanza tra queste culture e quella italiana una delle cause dell'arretratezza culturale italiana.
Questa linea, che trovo molto suggestiva, porta a rivalutare scelte collezionistiche come quelle di Antonio Borgnogna, nel cui museo troneggia un'opera di Adelsteen Normann: "Il sole di mezzanotte alle isole Lofoten", 1888, o la ricerca di Antonio Ciseri che mi pare in linea con il lavoro del grandissimo russo Brjullov.
Immagini:
M. Johnson Heade, Cattleya Orchid and Three Brazilian Hummingbirds, 1871, Washington, National Gallery
Adelsteen Normann, Il sole di mezzanotte alle isole Lofoten, 1888, Vercelli, Museo Borgogna

venerdì 19 dicembre 2008

La leggenda di Giovanna d'Arco: mito laico della Francia Repubblicana

La Pulzella d'Orleans è una delle figure che accompagna il dibattito sull'identità nazionale francese a partire dall'Ottocento.

Se il processo di canonizzazione si conclude in epoca estramente recente (16 maggio 1920), il percorso ed il dibattito attorno a questa figura accompagna e cavalca gli astiosi dibattiti tra laici e cattolici nella Francia anticlericale di fine Ottocento.
Il mito di Giovanna d'Arco, presentato in forma fortmente negativa, verso il finire del 700 da Voltaire, viene ripreso in epoca romantica in chiave eroica, ma sarà il testo di Jules Michelet, nel 1841, a dare nuovo vigore a questo personaggio. L'eroina diventa una Marianna antelitteram, capace di raccogliere in sè sentimenti di potente forza repubblicana: l'eresia, il disconoscimento da parte del re, le origini umili... La Pulzella diventa durante la Terza Repubblica uno dei personaggi cardine attorno cui costruire le storie del Pantheon, la sua storia viene narrata da Lenepveu, all'interno di un ciclo sulla storia di Francia commissionato nel 1874 dal marchese Chennevières.
Il personaggio della Pulzella diventa in quegli anni una potentissima macchina di lotta contro la Chiesa ed è proprio per questo che nello stesso anno in cui iniziano i lavori di affresco nel Pantheon inizia il processo di canonizzazione che si concluderà 50 anni più tardi. Come dirà nel 1894 il vescovo di Aix-en-Provence: "Non si possono laicizzare i santi".




martedì 2 dicembre 2008

Felice Beato: rendere più lontano l'Oriente


Una felicissima scoperta che ho fatto curando questo blog è sicuramente la fotografia di Felice Beato, uno dei sommi della fotografia ottocentesca britannica.


Pubblico quindi due fotografie che trovo sorprendenti e che nella loro autorevolezza sono così composte, da allontanare qualsiasi dubbio di orientalismo. Forse per i colori che rendono le atmosfere surreali e concrete, forse per i soggetti compiuti e definiti, sembra che quest'Oriente nulla abbia a che spartire con le rappresentazioni incuriosite di molti artisti che in quegli anni guardano all'Asia. Quelle di Beato sono rappresentazioni che parlano di eserciti e artigiani, due temi forse a tal punto ottocenteschi da rendere il Giappone un sicuro partner commerciale e non una terra di conquista.


lunedì 24 novembre 2008

Parigi a Torino: la galleria Subalpina

Nel 1864 il Parlamento approva il trasferimento della capitale del Regno da Torino a Firenze, una trasformazione urbana e politica che trova il suo epicentro nella subalpina Piazza Carlo Alberto.
La città di Torino, le sue elite e i suoi ceti dominanti, avevano portato a compimento negli anni successivi all'Unità Nazionale il percorso risorgimentale sabaudo che poneva nella città piemontese la naturale capitale del nuovo Regno d’Italia. Questo processo prevedeva innanzitutto l’ampliamento del Parlamento, la costruzione di una nuova ala e facciata capace di simboleggiare il compimento di un percorso iniziato con il trasferimento della sede sabauda da Chambery alla città di Torino.
Piazza Carlo Alberto rappresenta quindi il cuore di queste trasformazioni e dopo il 1859 sembra diventare il luogo simbolo della politica parlamentare. La nuova facciata presenta tutte le caratteristiche dell’Ottocento Sabaudo, uno stile da stazione che ritrovo nella monumentale facciata di Racconigi ed il cui sapore si pone in una linea di continuità con il gusto e il decoro dell'epoca del "buon Carlo Alberto": colonne in finto marmo bianco, grandi finestroni sull’ingresso ed un’armonia meccanica da disegno tecnico. L'aula del Parlamento, che non venne mai utilizzata causa la tarda fine dei lavori, è il simbolo silenzioso di un trasferimento e di un passaggio. Immagino l’imbarazzo con cui lo Stato nazionale terminò di pagare la costruzione della sala ormai inutile. Non voler troppo deludere e sottolineare un finale, ponendo in qualche modo le basi di un'Unità che per nascere doveva avere anche uno stile architettonico e semantico, meno compromesso dalle locali glorie piemontesi, insomma uno "stile nazionale". Quello che però colpisce (mi baso sulle fonti del testo prezioso di Loretta Monzoni: "Il disegno e le architetture della città eclettica", Liguori editore) sono le azioni di recupero e riconcettualizzazzione che della piazza vengono messe in atto nel decennio successivo. La perdita del suo politico crea in Torino un "disconoscimento architettonico": lo sguardo non si volge non verso Roma, ma guarda oltralpe. Una grande speculazione edilizia cerca infatti di riconfigurare la città come luogo vitale e attivo, come città moderna e mondana ricalcando le ricerche in voga in quegli anni a Parigi. Una città in cui commercio ed industria sono i nuovi poli di sviluppo e successo. La Galleria dell’Industria Subalpina con i finestroni da Opera Garnier, contiene in sé le stesse mitologie di città moderna e di rappresentazione borghese che l'architetto francese mette in scena a Parigi. Quello di Torino è però un rinnovamento timido, forse disilluso, sicuramente un po’ forzato. Schiacciata tra il Parlamento e piazza Castello, nascosta dai portici della piazza, la galleria non riesce a trovare il coraggio di riconfigurare l’antica capitale in un leggero polo di mondanità e ricchezza, come invece riuscirà a fare nella più ricca e solida Milano la galleria Vittorio Emanuele. A Torino sarà un altro tipo di idea di industria a plasmare la città verso la fine del secolo, non quella plutocratica e mondana decantata dalla galleria.

domenica 9 novembre 2008

Nicolò Barabino, ascesa borghese, corsi e decorsi del cattolicesimo italiano


Il lavoro di Nicolò Barabino è forse uno degli specchi più chiari dell’Ottocento, ma forse anche una delle esperienze artistiche maggiormente sottovalutate. La grandissima diffusione dei suoi lavori su tappezzerie, cartoline, arazzi… che hanno portato a sfiorare il kitsch e il pessimo gusto, hanno forse snobbisticamente indotto a trascurare il ruolo di questa figura che può invece essere considerata una delle più importanti del nostro Ottocento.
Il suo percorso si intreccia infatti in maniera paradigmatica a quelle che sono le esigenze della nascente società italiana.
Innanzitutto una riflessione andrebbe condotta sulla Firenze ottocentesca, che viene ad assumere per le folte comunità straniere presenti sul suo territorio, l’immagine di città santa, in cui far rivivere una religiosità magica e medievaleggiante. Si pensa spesso che tale immagine (così come il caso dei Nazareni), sia un’elemento esclusivo degli artisti stranieri in Italia, come le decorazioni di Overbeck (1830) alla Porziuncola di Assissi in Santa Maria degli Angeli, ma il Barabino con i mosaici di Santa Maria del Fiore, rappresenta il corrispettivo italiano. Questo fatto è un indice particolarmente significativo perché dimostra come dopo la metà del secolo, la città di Firenze, la sua diocesi e in qualche modo per estensione la nascente società italiana, fosse disposta a rappresentarsi come “cuore sacro d’Italia”. Il culto quasi religioso che viene a costruirsi attorno alla città di Firenze diviene a partire dagli anni ’70 uno dei principali strumenti di propaganda per la ricattolicizzazione della società europea. Il culto mariano costruito durante il romanticismo sembra approdare sulle rive dell’Arno e il lavoro di Barabino si rivela essere non solo il promotore, ma uno dei principali fautori di questo culto cattolico-fiorentino che assume rapidissimamente rilevanza europea.
La diffusione delle immagini sacre di Barabino attorno al finire del secolo e l’aquisto della “Madonna degli ulivi” da parte di Margherita di Savoia nel 1887, sono indici del successo di tale politica, ma sono in realtà un momento diverso e successivo rispetto alla misticizzazione della città.
Rispetto alla costruzione dell’immagine possiamo riconoscere un’elaborazione ed un’affinamento dell’iconografia orientalista proposta dal Palagi ed una sensualità distante che discende direttamente da Ingres. L’immagine della Madonna degli Ulivi, costruita per l’artistocrazia ligure e per i nuovi villeggianti della riviera si colloca in qualche modo sulla stessa scia. Il volto ombroso della Vergine, ne allontana la sensualità in una trascendenza astratta, così come i veli e i turbanti rendono la proposta iconografica delle opere del Barabino in una linea di contrapposizione/attrazione verso la società contemporanea, che relega il sacro ad un Oriente lontano e inattuale. Significativa risulta invece l’attualizzazione pietistica degli afreschi di Palazzo Tursi a Genova, in cui per i poveri orfanelli viene in soccorso la generosa mano dei patrizi locali. L’opera del Barabino sembra quindi essere specchio profondissimo dei vizi e delle virtù della società tardo-ottocentesca: Firenze che perde il ruolo di maestra politica e diviene cuore mistico della nazione (sottraendo a Roma il primato che invece le spetterebbe), il cattolicesimo che si fa pietoso e pratico, il misticismo che viene allontanato in Oriente (tratti essenziali della crescita borghese), le vicinanze con la macchia e l’accademia (Dante incontra Matelda), l’avvento della società dei consumi (tappezzerie e cartoline), i rapporti di somiglianza ed interiorizzazione dell’esperienze romantiche straniere in Italia. Insomma quanto basta per essere un maestro.

sabato 1 novembre 2008

Un paesaggio politico: il vercellese e il canale cavour


Il Canale Cavour è uno dei luoghi proustiani della mia infanzia. L'opera, ideata dall'agrimensore vercellese venne progettata da Francesco Rossi e Carlo Noé tra il 1846 e il 1852 per incarico di Cavour, allora Presidente del Consiglio dei Ministri del Governo Piemontese. Per il suo carattere politico ed economico l’opera mi appare come uno dei più significativi esempi di costruzione politica e semantica di un paesaggio. I lavori di costruzione del canale ebbero inizio nel 1863, dopo la proclamazione del Regno d'Italia ed ebbero compimento nel 1866, dopo meno di tre anni dal loro inizio. L’opera voleva sicuramente destare meraviglia per la sua complessità, a noi oggi appare come un paesaggio quotidiano, ma i ponti canali, gli attraversamenti di strade e corsi d’acqua dovevano dare l’impressione di un territorio in cui l’inventiva umana e la tecnica avessero portato benessere e richezza.
Il canale risulta ancora però maggiormente geniale nell’uso semantico che viene fatto del paesaggio e dei materiali. A differenza di costruzioni affini in area anglosassone, qui il paesaggio non viene configurato in chiave romantica, nulla è sublime, appare solo chiara perizia tecnica. Il paesaggio rimane configurato in senso orizzontale, non vengono inserite ad esempio rive boscose o ponti in ferro o ghisa, né le costruzioni presentano se non per l’edificio di imbocco alcuna monumentalità. Il richiamo sia nelle costruzioni sembra essere alle chiesette romaniche di campagna, all’abadia di Lucedio, ai porticati delle cascine. L’immagine che il paesaggio vuole creare in chi lo attraversa, che si estende piatto a perdita d’occhio fino alle prealpi deve essere quello di un’unica coralità agraria, che nel silenzio produce ai ritmi della produzione industriale.

lunedì 27 ottobre 2008

L'esperienza di Adeodato Malatesta

Incontro per caso, in questo mio viaggio attraverso l'Ottocento italiano, la figura di Adeodato Malatesta, a quel che mi pare di leggere un vero eroe presso quei di Modena, decisamente meno consciuto fuori dal territorio. Mi vorrei soffermare su un piccolo gioiello di cultura biedermeier nostrana: La famiglia Malatesta, 1833. Quello che mi pare essere per la verità un caso più unico che raro.
E un'opera che mi colpisce per il suo valore testimonale di un periodo storico e di un gusto, quello Biedermeir di stampo tedesco e austriaco, che in Italia fatica ad emergere.
Il Malatesta, pittore presso il piccolo ducato di Modena, soggetto all'influenza economica e culturale asburgica vede in Vienna un modello da emulare, sebbene releghi le espressioni artistiche di moda oltralpe ad un soggetto a sfondo meramente privato. Le rappresentazioni dei regnanti e i ritratti sono segnati ancora da un classicismo ancien regime che poco hanno da spartire con questa raffigurazione di calore famigliare. Il biedermeir sembra essere in Italia riservato ai borghesi, non ai re, e quindi per questo è più legato alla di una classe e di una nazione con basi più democratiche.


Il fatto che il Malatesta abbia conservato così a lungo l'opera nel suo studio gli da l'impronta del grande, il gusto moderno come conoscenza, come esercizio retorico e di stile, come sfogo e valvola personale davanti all'impossibilità di applicare il moderno al lavoro reale, ma anche come modello a cui guardare e come filtro attraverso cui mediare le sue opere religiose o i ritratti di monarchi e patrioti.
Le simpatie liberali, le commesse monarchiche, l'attrazione verso le innovazioni straniere, le opere religiose e devozionali, rendono Malatesta una delle figure più interessanti del nostro secolo sconosciuto e forse lasciano pensare che negli studi e negli appartamenti privati dei borghesi e dei liberali il gusto biedermeier esitesse anche da noi.

Immagini:
Adeodato Malatesta, La famiglia Malatesta, 1833, Modena, Museo Civico
Adeodato Malatesta, Ritratto di Ciro Menotti, Reggio Emilia, Museo del Tricolore

giovedì 23 ottobre 2008

fallimenti intresi: Davide Ranzoni e i Troubetzkoy

Leggo la triste biografia di Daniele Ranzoni. Enfant prodige, adolescente genio, pittore di successo, poi il declino inglese, la follia, la malattia mentale. Devo essere sincero che non mi ha mai interessato molto la Scapigliatura, ma della parabola di quest'autore non si può prescindere in un blog che dovrebbe avere come obiettivo primario quello di parlare dell'Italia post-unitaria. Noto da più parti (garzantina in primis) un certo disprezzo e una certa incomprensione verso questo pittore che forse non è il più geniale, nè il più brillante esponente dell'ottocento lombardo, ma sicuramente uno dei più rappresentativi di un demi-monde tra il turistico e il mondano in cui convivono, in un triste e greve raccontino, tutti i caratteri di una cultura che soffoca, che non riesce ad emergere e che diventa sempre più polverosa e piccolo borghese. Questo mi spiace perchè non è affatto il taglio che avrei voluto dare a questo blog, anzi avrei voluto dare un'immagine gloriosa dell'Ottocento italiano, liberale e progressista, ma forse da questi salottini perbene non si può proprio prescindere.
Parto da un lavoro del 1873: I figli del principe Troubetzkoy di Ranzoni. Interrotti dai loro giochi con il cagnolone di casa, si lasciano ritrarre dal cenacolo scapigliato del padre. Quanta decadenza però in questo lavoro. Questi nobili principini sono già in pose semi-mondane, già preannunciano la bellezza del dandy e del borsiere. Un'infanzia troppo presto conclusa, giochi un po' violenti, un po' cinici e sopra tuto le ombre di una foresta finto-tropicale nel giardino di una casa pulita ed impeccabile. Probabilemente questo lavoro è uno dei più riusciti di Ranzoni ed è così carico di cattivi auguri. E un po' come se il pittore si riconoscesse in questi giochi, come se rimpiangesse un'infanzia perduta, un' infanzia attorno a cui costruisce tristi presagi e ombre scurissime. Quale senso di rivalsa avrà avuto il giovane Ranzoni nei confronti dei borghesi di Intra, che l'avevano eletto all'arte fin dalla tenerissima età? In questi bambini biondi, già così tanto a contatto con il volgare lusso della provincia, con i cenacoli di una letteratura minore, uno sguardo vuoto e perduto, di una generazione che non trova se stessa. E in questo cenacolo minore Ranzoni che conosce i prossimi padroni, la gentry per cui lavorerà fino agli anni '80.

Poi fu la parabola inglese, la storia che si ripete: il razzismo e il classismo anglosassone, la grigia provincia britannica, le esigenze di una rappresentazione aristocratica, la noia, la volgarità, l'attrazione turistica esportata che perde sapore, i notai, i pizzicagnoli e una dopo l'altra le loro case, le loro figle, talvolta l'amore, poi dire che di questo mondo non ne voleva più sapere e che il lago era meglio, era suo, era lì che stava nascosta la vita, la verità forse. Quale senso di rivalsa avrà avuto Ranzoni vecchio e pazzo, seduto davanti al suo lago, nei confronti dei borghesi di Intra? Alla fine degli anni '80 sul lago doveva esserci solo più lui, il cenacolo dei Troubetzkoy fallito, la villa chiusa e poi venduta mentre era via, i nuovi ricchi, turisti meno colti e più sicuri di sè che sciamano sul lago, e i borghesi di Intra sempre a leccare il culo e il lago , ora vuoto di una storia minore che solo lui conosce.

martedì 21 ottobre 2008

Sinfonia della luna: quando la rivoluzione finì in un falò


Singolare risulta scoprire come la formazione socialista di Nomellini, che troviamo vicino agli anarchici e agli operai del porto di Genova viri verso la fine del secolo verso un misticismo notturno e panico. Oltre a trovare bellissima la composizione di campi e marine ed il ritmo dei pannelli, penso che il lavoro sia davvero di sapore dannunziano. Come suggerisce Silvestra Bietoletti riguardo a "la colonna di fumo": "Lidi, pinete, picchi apuani, partecipano alle attese di rinnovamento sociale complessivo, estetico e politico insieme". In realtà appare soprattutto un ripiegamento mistico ed intimo, in cui l'identificazione con un territorio si idealizza, dimenticando quelle stesse istanze di rinnovamento che proprio dalla natura avrebbero potuto prendere le mosse. La luna vaga sopra una terra arcaica e magica in cui la contemplazione prevale sul senso di giardino coltivato dalle mani dell'uomo, che compare solo accennato nel quadro centrale della veggente. Sinfonia della luna, 1899.

domenica 19 ottobre 2008

una baita sopra il monte


Dopo le precedenti divagazioni è bene ritornare all'ordine rimanendo però sui monti e guardando ancora all'area austriaca. Un ritratto di famiglia, grande invenzione Biedermeier. Temi che niente, ma proprio niente hanno a che vedere con garibaldini, bizantini o decadenti. Mi fa riflettere su come cambino i gusti, mi domando però come improvvisamente si sia scelto di abdicare da questo tipo di rappresentazioni.

sabato 18 ottobre 2008

erotic biedermeier


L'occasione è talmente ghiotta che non ho potuto fare a meno di mettere un post. Stavo sfogliando un po' di testi per dare inizio ad una serie di piccole deviazioni Biedermeir e volevo partire con la "Preghiera della Sera", 1839 di Peter Fendi, quando internet mi regala i suoi ghiotti disegni erotici. Questo lato nascosto del biedermeier più accademico era davvero una sorpresa troppo grande per non essere inserito. Queso devia fin da subito le mie divagazioni, ma sicuramente rende più complessa e sfidante l'analisi che mi apprestavo a compiere. Un'indagine che dovrebbe avere Biella come epicentro.

martedì 14 ottobre 2008

Elite d'alta quota


Il tema della fotografia d'alta quota non è del tutto nuova, mostre sono state viste di recenti dalle mie parti (l'anno scorso alla GAM in occasione delle Olimpiadi una retrospettiva su Vittorio Sella)e un bellissimo dossier l'ho trovato si trova sulla rivista fotostorica.it. Quello che risulta interessante nel viaggio nella fotografia italiana dell'Ottocento, oltre a pochi nomi che ho trovato originali (deprezzati a parer mio dalle sopravvalutazioni recenti di von Gloeden & C.), risulta il ruolo che la città di Torino va a ritagliarsi in quegli anni proprio nel settore fotografico (Rey, Sella, Domenico Riccardo Peretti Griva...) , fino a culminare con l'esposizione del 1898. In questo contesto le comuni passioni di una piccolissima elite cittadina per fotografia e alpinismo tracciano non solo le immagini di una nuova città, che va arricchendosi ed industrializzandosi, ormai lontana dalle ambizioni di capitale politica, ma anche di una società industriale i cui modelli perdureranno per gran parte del 900.

lunedì 13 ottobre 2008

Excelsior, 1881: pubblica illuminazione

Mi sembrava l'Execelsior del 1881 una naturale prosecuzione del post precedente con le immagini di Schinkel per il flauto magico. Questo video è così tanto gravido di nazionalismi da impressionare. Però penso che sia una delle meraviglie di youtube.

Link:

http://www.sistemamusica.it/dicembre/26.htm

giovedì 9 ottobre 2008

Schinkel: industria e teatro

Mi sembra così poco conosciuto fuori dalla Germania il lavoro di Schinkel, ma mi sembra sempre così moderno, mi viene da dargli una trentina di anni di più, anzi a volte anche '70. Questa regina della notte per me va ben oltre il neoclassico, ha in sè tutte le innovazioni positiviste della macchina, del progresso ruggente, mi sembra quasi da Excelsior. Mi pare abbia visto giusto Kentridge nel citarlo anche se filologicamente il povero Mozart salisburghese viene perso di vista. Trovo davvero grande sintonia con i suoi lavori e ogni rilettura fatta da artisti contemporanei sui suoi lavori è stato per me riuscitissima, penso al lavoro di Nannucci davanti al Museo Egizio o la chiesa con il suo museo. Per quel che mi riguarda da noi forse solo Palagi (altro misconosciuto) gli sta pari, penso al lavoro che ha fatto a Pollenzo, che putroppo non ho mai visto. Mi chiedo alla fine perchè mi sono imbarcato nel 2° impero quando ci sono tanti momenti felici all'apertura del secolo. Forse di più e tutto era più semplice. Vabbé questa generazione di precoci ingegneri potrò sempre tenerla come pietra di paragone.

martedì 7 ottobre 2008

come i milanesi divennero italiani


Mi colpisce il numero di monumenti commissionati dalla cittadinanza milanese e dedicati alle tematiche risorgimentali ed in particolare allo stato sabaudo e piemontese. Questo legame che Milano negli anni successivi all'unità nazionale mira a costruire con Torino colpisce alquanto. Da un lato non risulta che questo stesso legame venga costruito con Roma. Sembra in qualche modo sepreggiare l'idea di un risorgimento nordico, un'asse di legami tra due città che sembrano assumere un ruolo più debole dal punto di vista politico nel periodo postunitario. Ancora più probabile mi sembra però l'idea di una Milano che va affermandosi culturalmente ed economicamente come capitale dell'industria e della plutocrazia di fine secolo. Il dono e i tributi alla dinastia sabauda potrebbero essere letti quindi come un riconoscimento verso una liberazione economica del territorio ambrosiano ed in Torino il motore deluso di un emancipazione.
(immagine di fukurokuju, flickr.com)

lunedì 6 ottobre 2008

Gaetano Koch: eclettismo finanziario


Palazzo Koch, Banca Italia. Felici scoperte della Roma umbertina. Non riesco però a trovare belle foto della cappella reale di Sabaudia. Uffa.

sabato 4 ottobre 2008

Annunci di Novecento

Ma Salgari lo si considera dell'Otto o del Novecento? Mi è venuta voglia di romanzi e letteratura per ragazzi esotica. Mi piace lo stile dandy delle copertine delle Giungla Nera che sono a metà strada tra Wilde e Baudelaire.
Qui una mappa delle ambizioni coloniali italiane in Indocina (in verde)tra il 1880-1885 trovata su Wiki.
Questo doveva essere il sogno di gran parte dei decadenti europei. Le immagini della grande moschea nel Sultanato di Aceh sembrano davvero uscite dalla fantasia dello scrittore torinese, così come lo erano i templi di Mandalay prima che nel 1885 l'impero britannico assoggettasse questi territori alla corona inglese.

giovedì 2 ottobre 2008

Sacra restaurazione: divagazione1


Primo post, prima eccezione alle regole. Nulla a che vedere con garibaldini e decadenti, anche se l'abito leggermente alla turca della vergine preannuncia ben altri bizantinismi. In realtà la Madonna Annunciata del Palagi (1826) la inserisco per ora così, ma più avanti avrò intenzione di fare qualche formativo confronto tra queste vergini mondane e le più pastorali e bigotte pratiche fin de siècle.
In tema di madonne mondane un confronto tra i nostrani angeli annunciatori e le ricerche cattoliche che interessano oltralpe Ingres (Madonna dell'Ostia del 1862, il voto di Luigi XIII del 1824) può risultare il primo indicatore di un fenomeno che potrebbe preannunciarsi interessante. Il secolo positivo tra anticlericalismo, vecchi cattolici, graves ac diuturnae e confraternite di Francesco di Sales, pone la situazione della Chiesa in una luce particolare e mi piacerebbe comprendere come l'arte agisca in questo complesso contesto.

domenica 28 settembre 2008

premesse e ossessioni


Questo blog nasce con lo scopo da un lato di dare sfogo ad alcuni interessi non proprio contemporanei, dall'altro per riuscire a guardare con occhio critico il territorio che ci circonda. Le domande ruoteranno tutte il più possibile attorno ad una lettura sociale dell'ottocento nostrano, soffermandosi sull'invezione della tradizione e cercando di comprendere come il "chi siamo" di oggi sia passato attraverso costruzioni semantiche vecchie ben più di un secolo. Il periodo che si vuole prendere in esame va dal 1848 alla fine del secolo, con particolare attenzione al periodo successivo all'Unità d'Italia, con alcune divagazioni sui primo due quarti del secolo. Oltre all'Italia spero aver occasione di parlare di altro (fotografie permettendo).

Il titolo del blog ricalca il titolo di E. Sormani "Bizantini e Decadenti" cercando di convogliare la lettura dell'autrice verso una direzioni politica e sociale.