Il post su Zeri, deve avermi impressionato molto da pormi oggi la domanda: Cosa rimane del passaggio di Brjullov in Italia?Enorme è l'influenza che questo maestro del romanticismo ha avuto nel suo soggiorno nel Bel Paese: si parte dal successo de "L'ultimo giorno di Pompei", 1833 fino ad arrivare ai numerosi soggetti a tema italico presenti nel suo lavoro. Il soggiorno del grande innovatore russo, carico di successi, ha però lasciato nei musei e nelle collezioni italiane pochissime opere:
- Ritratto di A. N. Demidov, Principe di San Donato, 1831, Galleria Palatina, Palazzo Pitti, Firenze
- Ritratto della cantante Giuditta Pasta nei panni di Anna Bolena, 1834, Museo del Teatro "La Scala", Milano
- Per ordine di Allah, la biancheria si cambia solo una volta all'anno, 1852, Galleria d'Arte Moderna, Milano
- Ragazza nella foresta, collezione Tittoni
- Giulietta Tittoni nei panni di Giovanna d'Arco, collezione Tittoni
- Giulietta Tittoni nei panni di Giovanna d'Arco, collezione Tittoni
La ricerca sul colore ed il temperamento romantico del giovane russo deve avere influenzato fortemente il contesto milanese di quegli anni, se si pensa a come proprio in quegli anni Hayez trasformi ed aggiorni lo stile dei suoi ritratti, avvicinandoli nel gusto all'opera di Brjullov. Il ritratto di Cristina Belgioioso Trivulzio, 1832 sembra infatti presentare diverse affinità (pur mantenendo un contenimento lombardo) con lo stile vivido e nero del maestro russo. Ma chi ricevette maggior beneficio dal contatto con il maestro fu probabilmente il compositore Giovanni Pacini con cui Brjullov instaurò un potente e proficuo scambio di idee e visioni.
Immagini: (sopra) Giuditta Pasta, (sotto) dettaglio da "L'Ultimo giorno di Pompei"







Quello che però colpisce (mi baso sulle fonti del testo prezioso di Loretta Monzoni: "Il disegno e le architetture della città eclettica", Liguori editore) sono le azioni di recupero e riconcettualizzazzione che della piazza vengono messe in atto nel decennio successivo. La perdita del suo politico crea in Torino un "disconoscimento architettonico": lo sguardo non si volge non verso Roma, ma guarda oltralpe. Una grande speculazione edilizia cerca infatti di riconfigurare la città come luogo vitale e attivo, come città moderna e mondana ricalcando le ricerche in voga in quegli anni a Parigi. Una città in cui commercio ed industria sono i nuovi poli di sviluppo e successo. La Galleria dell’Industria Subalpina con i finestroni da Opera Garnier, contiene in sé le stesse mitologie di città moderna e di rappresentazione borghese che l'architetto francese mette in scena a Parigi. Quello di Torino è però un rinnovamento timido, forse disilluso, sicuramente un po’ forzato. Schiacciata tra il Parlamento e piazza Castello, nascosta dai portici della piazza, la galleria non riesce a trovare il coraggio di riconfigurare l’antica capitale in un leggero polo di mondanità e ricchezza, come invece riuscirà a fare nella più ricca e solida Milano la galleria Vittorio Emanuele. A Torino sarà un altro tipo di idea di industria a plasmare la città verso la fine del secolo, non quella plutocratica e mondana decantata dalla galleria.






Mi sembra così poco conosciuto fuori dalla Germania il lavoro di Schinkel, ma mi sembra sempre così moderno, mi viene da dargli una trentina di anni di più, anzi a volte anche '70. Questa regina della notte per me va ben oltre il neoclassico, ha in sè tutte le innovazioni positiviste della macchina, del progresso ruggente, mi sembra quasi da Excelsior. Mi pare abbia visto giusto Kentridge nel citarlo anche se filologicamente il povero Mozart salisburghese viene perso di vista. Trovo davvero grande sintonia con i suoi lavori e ogni rilettura fatta da artisti contemporanei sui suoi lavori è stato per me riuscitissima, penso al lavoro di Nannucci davanti al Museo Egizio o la chiesa con il suo museo. Per quel che mi riguarda da noi forse solo Palagi (altro misconosciuto) gli sta pari, penso al lavoro che ha fatto a Pollenzo, che putroppo non ho mai visto. Mi chiedo alla fine perchè mi sono imbarcato nel 2° impero quando ci sono tanti momenti felici all'apertura del secolo. Forse di più e tutto era più semplice. Vabbé questa generazione di precoci ingegneri potrò sempre tenerla come pietra di paragone.



